sabato 1 ottobre 2016

Ragazzo mio (lettera a un figlio che parte)

Non sei mai stato bravo a disegnare. Una volta, in quarta elementare, ti angosciasti un intero fine settimana perché la tua maestra aveva definito "miserrimo" il tuo disegno ispirato alla Gabbianella e il gatto. Un gabbiano impreciso, i tratti di colore fuori dai contorni, niente di grave; ma era evidente che desideravi disegnare non il gabbiano perfetto, bensì la sua idea. Quel gabbiano volava verso l'alto, come un condor, in una picchiata al contrario, sprofondando nell'abisso del cielo.

Domani partirai. Andrai a studiare abbastanza lontano per non tornare ogni fine settimana, e a studiare abbastanza per non avere nemmeno il tempo per tornare. Quel disegno impreciso, ora, è la realtà. Un gabbiano in picchiata verso il futuro.
O forse, in questi anni, hai silenziosamente, consapevolmente, fatto a pezzi quel disegno. Tanti minutissimi pezzi, ognuno dei quali contiene una sfaccettatura di te.

Ci eravamo illusi, avevamo sperato, tuo padre e io, di avere per sempre il disegno completo, di comprenderlo e forse anche ammirarlo, mostrandolo ad amici e parenti. Invece, ci stai insegnando la dote ardua e misteriosa dell'accettazione, dell'umiltà. Prendiamo un coriandolo di quel disegno, e ce lo facciamo bastare. Ne osserviamo le screziature di colore, la grana del tratto, ma non riusciamo più a ricollegarlo al disegno complessivo, che ci auguriamo esista, da qualche parte nel tempo, ma che temiamo di non riuscire più a vedere.

Domani partirai in picchiata verso il futuro, esplodendo in minuti coriandoli di senso. Guardando nel fondo dei tuoi occhi colore del cielo, ci specchiamo nell'identica, trepidante, timorosa perplessità.
Noi, da terra, seguiremo il tuo volo.