giovedì 23 maggio 2013

Terminando nel noi



Don Gallo, scusami se ti scrivo ora. Sono arrivata in ritardo, ma del resto tu non sei nemmeno arrivato, e sì che ti aspettavo, due mesi fa. Stavi già male, ci avevano detto. Incontro rinviato, avevano detto.
Incontro rinviato, già. Eppure avevo pronto un libro da darti, e un paio di domande da porti.
Te le pongo ora, rispondimi con comodo. Abbiamo una vita, questa o l'altra non importa.

Vorrei chiederti come hai fatto a parlare di Dio senza stancarti, a indicare i fiori là dove i più vedevano solo letame, ad amare quei fiori, coltivarli, averne cura, riconoscerne i colori e il profumo, e restituirli al respiro del mondo.
Ogni tanto succede anche a me. Li so riconoscere, ogni volta in cui leggo nel brillare di quegli occhi l'inquietudine dei figli trascurati, lo strazio degli ultimi, la lacerazione degli incompresi. Ma quanto è difficile trovare le parole per riportare quei colori al destino che meritano.

Vorrei anche chiederti dove hai trovato tanta umiltà, nel restare grande anche quando ti schiacciavano, nel lasciarti parlare da Dio, nel farti attraversare da un io che termina nel noi, nel vivere quell'amore a perdere, di cui sei stato un profeta. A me non succede mai, ma so bene perché. Perché io condivido con gli uomini del mio tempo la malattia principale, l'accidia. Mentre tu te ne sei liberato subito, sgombrando il campo, facendo spazio all'invasione di uno spirito attivo, attento, attaccato alla vita e al suo amore.

Don Gallo, scusami se ti scrivo ora, e qui. Ma prendile così, queste poche righe imprecise, come un piccolo mazzo di fiori mal assortiti, deposto vicino al tuo corpo, che mi ha sempre ricordato quello, altrattanto esile, altrettanto forte, di mio padre.
In attesa di vivere l'incontro rinviato. Quando vivremo tutti la vita trasformata, mai tolta. Quando i nostri io termineranno tutti nel noi.
Intanto, grazie.

lunedì 20 maggio 2013

SpringsteEnergia


 

Come succede spesso per gli incontri importanti, non ricordo quale sia stata la prima volta in cui ho ascoltato un pezzo di Springsteen. Non mi ha nemmeno cambiato la vita subito, devo averlo messo idealmente fra i rocker di valore che ascoltavo in quegli anni. E ce ne erano molti, a cui ero devota, della devozione appassionata dei vent'anni.
Però, come succede sempre per gli incontri importanti, quella presenza si è fatta via via più stabile, costante; un punto di riferimento, musicale e umano, imprescindibile, nel bene e nel male, negli (innumerevoli) pregi e nei (pochi) difetti.
E, come succede sempre per le amicizie vere, poter contare su Bruce è diventata, nel corso del tempo, un'abitudine forte, una sorta di breviario quotidiano, fatto di parole intrecciate con la musica, a cui rivolgermi nei passaggi obbligati di un'esistenza.
Le amicizie vere sono rare e preziose. Poche, ma durature. E riconoscere nell'amico le stesse rughe, le stesse fragilità, ma anche la stessa coerenza, la stessa energia, è ciò che davvero rende unica l'esperienza di un'amicizia.

Per questo, e per molto altro, do il mio benvenuto a Bruce in Italia, per l'ennesimo bagno di folla, di forza, di fede in una terra promessa che è qui, ora, che è dei diseredati e dei folli, dei santi e dei peccatori, degli uomini e delle donne che conoscono la chiave per resistere su questa crosta di terra: l'energia dei sogni.








domenica 19 maggio 2013

Polvere e lacrime



Ho appena dato il mio primo bacio. E ho lo stomaco che ondeggia, come in mezzo ai marosi. La vita è questo, mi pare di capire. Ma ho quindici anni e mezzo, e ho dato il mio primo bacio, e non ragiono in modo molto lucido.
Sono in solaio con mia madre. Sta sistemando gli oggetti della casa dei nonni. I nonni non ci sono più, come si dice, sono morti. Ma ogni tanto io li sento parlare, sento mia nonna entrare nella mia camera e dirmi 'salutiamo le tortorelle sul filo!'. E sento mio nonno che mi canta le arie di opera, e mi declama il primo verso dell'Iliade. Li sento anche ora, parlottare piano, dietro all'armadio pieno dei loro oggetti.
Sono in solaio, cerco di aiutare mia madre, ma penso alla dolcezza di quel bacio. La vita mi spinge più in là, oltre la polvere di questo posto pieno di oggetti. Guardo la piccola finestra che dà sui tetti, e mi sembra di passarci attraverso, e di volare oltre.




Mia madre scarta, seleziona, legge, ricorda, apre cassetti e scatole, tiene da parte e butta. E' immersa negli oggetti, nelle fotografie, nelle lettere, nei libri, nei regali di una vita. Ogni tanto sospira. Ogni tanto esclama 'ma guarda!', e tenta di ricostruire, per me, il senso di un'esistenza familiare trascorsa senza di me.
Le vacanze in montagna, quelle in Toscana, le cartoline, e le feste di Natale, i regali, i souvenirs, ma anche le lunghe settimane di scuola, i diari, i quaderni, le bambole e le automobiline, e poi i vasi, i quadri, piatti, posate, brocche e bicchieri. Una casa. Una famiglia.

Un'onda di tempo diventato oggetti la sommerge. Le mani nere di polvere, il viso rigato di lacrime. La linea discontinua di una serie di anni diviene un filo sottile e tenace che la tiene avvinta, gli occhi persi a inseguire i ricordi che quegli oggetti contengono, e che stanno sprigionando solo per lei.
Lei scarta, seleziona, legge, e piange. Le lacrime si mescolano alla polvere, in questo addio silenzioso. E io ne sono testimone, io, con il ricordo del mio primo bacio chiuso nello stomaco a doppia mandata, che mi dà la paura e insieme la forza di assistere alla fine di qualcosa, proprio mentre inizia qualcos'altro.