venerdì 3 settembre 2010

leonard cohen, the geometry of beauty

c'è la natura. e la natura è fatta di atomi, di cellule, che si dispongono in armonie ed equilibri misteriosi, che non hanno segno positivo o negativo, ma che esistono, e non si chiedono il perché.

e c'è l'uomo, parte della natura, e in quanto tale composto della stessa materia, sangue che scorre, particelle di energia che fluiscono, pulsazioni di cuore, saliscendi di pressione, dilatazioni di pupille, ritmo respiratorio. ma l'uomo è capace di rielaborare la materia, e renderla sensazioni, emozioni, sentimenti. i più sensibili amplificano tutto ciò, e lo fanno diventare poesia, arte, musica, nello stesso, misterioso modo.



l'acqua dell'arno scorre quieta e disciplinata, stasera, a poca distanza da qui. posso immaginare il suo fluire verdognolo verso il mare. e anche l'arno è composto da infinite particelle d'acqua, che insieme sono moto, rumore, energia, fiume.

e le stelle sono lontane, ci arriva di loro una luce fredda; non scaldano, però come sarebbe vuota la notte senza di loro. e l'uomo ha dato nomi anche a loro, nomi familiari e antichi, per renderle parte del suo mondo.





anche piazza santa croce è fatta di materia, certo. marmi e pietre e sassi di varie specie. e stasera ci sono tubi e transenne e sedie di plastica e bicchieri di birra e bottigliette d'acqua, e lampade e amplificatori, fili elettrici e strumenti di ogni tipo. cose fatte dall'uomo, che stasera gli servono a creare qualcosa che non si può toccare, e a cui è riuscito però, anche qui, a dare un nome: armonia.

ci sono io, fra gli uomini e le donne in piazza santa croce, stasera. e con me ci sono alcuni cari amici, e soprattutto ci sono i miei figli, che ho voluto con determinazione portare qui, perché voglio che questa geometria di bellezza resti anche nelle loro memorie private.

ci sono io, ma il nostro essere qui non avrebbe senso, senza la musica e l'armonia di leonard cohen, quello che forse più di ogni altro, in questi decenni, ha fatto diventare poesia, arte, musica, lo slancio della materia verso la propria armonia, inscritta in ogni suo atomo.



l'artista è perfetto, epico, giovane dell'eterna giovinezza dei semidèi, quando imbraccia la chitarra, o canta con una voce dalle profondità insondabili, o si inginocchia durante i brani più ispirati.

l'uomo è fragile, tormentato, anziano dell'eterna antichità degli sciamani, quando si toglie il cappello per ringraziare musicisti e pubblico, o smette di cantare, e si allontana, curvo di anni e stanchezza.



e io sono un po' lui, con la sola, importante, differenza che lui riesce ad esprimere la bellezza delle contraddizioni, nello spazio di tre ore (composte a loro volta di brani di cinque minuti l'uno, a loro volta suddivisi in sequenze di battute musicali e di parole precise scandite in sillabe, e via così, in quella vertigine di scomposizione e ricomposizione che è poi la vita), e a condividerla con me, che, un po' stordita da tanta epifania, mi volgo attorno, e vedo gli altri volti, le luci, ascolto le voci e i suoni, immagino l'arno vicino, le stelle lontane, e sorrido pensando che, se fossi l'arno o una stella, stasera sarei invidiosa della fragile, caduca, ma potentissima umanità, capace di arrivare, durante il tempo incommensurabile di un'intuizione, nello spazio infinito di un battito, alla redenzione.



tutti noi, lui, i musicisti, i miei amici, quelli che sono qui in piazza e quelli che sono qui nel mio cuore, i miei figli, e anch'io, tutti, uccelli sul filo, nati in catene, losers neanche tanto beautiful, ma stasera, vestìti di stracci di luce, per fare cantare il nostro bisogno di poesia attraverso la sua voce, suonare le nostre campane, e sentirci non solo materia, almeno per una sera.



o forse più a lungo.





(But I swear by this song/ And by all that I have done wrong / I will make it all up to thee.)