martedì 17 marzo 2009

le ali ripiegate (la prossemica e la poesia)

la stiva è fitta di parole. vengono i genitori dei clandestini, a parlare con la ciurma. vengono con una scialuppa di salvataggio, alcuni; armati di bombarde e moschetti, altri; di salvagenti e thermos; ma soprattutto di parole, tante tante tante parole.
ipotesi, antitesi, sintesi, tensioni e ansie. ricordi d'infanzia, psicodrammi familiari, colpe come fardelli da scaricare, finalmente, e che qualcun altro se li prenda e li butti a mare. oppure, la bellezza degli scarrafoni. o anche, ma meno spesso, il giusto e lucido orgoglio della medaglia al valore appuntata sul petto.

oggi, però, fra tante parole, c'è anche una presenza muta. un clandestino tace, mentre padre e prof si parlano. li guarda, alternativamente, mentre loro si spiegano com'è fatto lui. il suo silenzio è leggero, però. parlano i suoi gesti, il suo porsi fra loro, vertice di un ipotetico triangolo che si nutre di ipotesi.

il padre, confidenziale, affabile, appoggia il gomito al tavolo, proteso verso la prof, che è laterale al clandestino, a dirgli tutto bene, sono dalla tua parte. le mani in grembo, che solleva appena, quando vuole dare enfasi alle parole, il registro di fianco, chiuso, non belligerante.
il clandestino tiene anche lui le mani sul grembo, ma non ha altro a cui appoggiarsi. le spalle scendono, in asse col collo. gli vedo le ali sotto il maglione. sono ripiegate, è per questo che ha le spalle così abbandonate, sotto il peso delle ali.
potesse, spiccherebbe il volo nel mondo_fuori. potesse, spiegherebbe l'acuta nostalgia dell'infanzia che lo sta prendendo ora, mentre è sul limitare dell'età adulta, e non può tornare indietro, né sa andare avanti.
ma non può, né sa.

ascolta, però, le parole degli altri. chissà quando riuscirà a parlare, anche lui.