venerdì 25 dicembre 2009

lo stupore

oggi vorrei regalare il sorriso di giovanna.
crede ancora che sia gesù bambino a portare i regali. e ieri sera sistemava i cuscini del divano, metteva biscotti e acqua per gesù e gli angioletti, e ha scritto in un foglio a caratteri colorati BUON NATALE GESU'!

ho portato via i biscotti lasciando qualche briciola. ho bevuto l'acqua. ho scritto un bigliettino di risposta.
e ora attendo l'illuminarsi del suo volto, riflesso del mio volto di bambina di nove anni.
mi manca mia madre. lei spegnava tutte le luci. lasciando solo quelle di albero e presepe. metteva un disco con 'tu scendi dalle stelle'. e lasciava la porta aperta alla fede, che è soprattutto stupore.

se quando zoppico e inciampo non cado mai, è grazie anche a questi natali di infanzia.

mercoledì 9 dicembre 2009

dov'è il cuore?


e facciamo che è natale, e un concerto a tema ci vuole.
e facciamo che 'sto giro non ho proprio proprio nessun dubbio: c'è Capossela agli Arcimboldi, e con ampio anticipo mi assicuro la seconda fila centrale, ché non ne posso più di solo show visto in un angolino.

e mettiamoci pure che non mi aspetto niente di diverso da quanto immagini, e che già il solo show mi ha regalato ampie soddisfazioni.
però quando c'è di mezzo il cuore, e c'è di mezzo il natale ruvido riveduto e corretto vinbrulé da Vinicio, la sorpresa è in agguato.
ché vedere il Wurlitzer agghindato come dopo una nevicata, il banco mixer con le lucine rosse intermittenti, Jessica nei (corti) panni di una babbanatale tatuatissima, un braciere con fuoco (finto) ma con un pentolone (vero) di vino a scaldare, Vinicio con una giacca di paillettes rossa, un organo di Barberia passare fra le file suonando un canto natalizio, tanto per cominciare, è un regalo fatto e finito, infiocchettato e consegnato zero spese di spedizione.

però, la vera strenna è sentire un concerto perfetto, senza sbavature, in miracoloso equilibrio fra malinconia ed edonismo, come dev'essere per ogni carpediem che si rispetti.
la filosofia di Vinicio è precaria e granitica insieme: visto che non ci sono altre certezze se non l'amicizia e il cuore, allora, mettiamoceli entrambi ovunque. e riempiamo di senso la nebbia e il freddo del nostro dicembre, per scaldarci l'anima, e per tenerci da parte almeno le risate e le emozioni. dentro, nel pentolone, restano in caldo belle musiche, parole buone, luci e visioni, tutte le visioni di un'infanzia eterna. fino a sottrarre tutto, e finire (nel bis, a tendone chiuso) nel proscenio con un ombrello e un suono essenziale, a cantare nella pioggia, sotto uno scroscio di schiocchi di dita. magia e meraviglia. con fiocco rosso e bigliettino. e lui che mima, per ringraziare, il suo cuore, che si allarga fino a contenere tutti.

il suo cuore, che vive nei nostri sorrisi.

lunedì 30 novembre 2009

cecco e fabrizio



medioevo e de andré, oggi.
il lettore cd, i clandestini con gli occhi e le orecchie aperte, la pioggia battente fuori, il tepore della musica dentro.
e le storie del povero re carlo martello e della sua donzella puttana, del miché che si uccide per amore, della donna di geordie che supplica di ucciderlo quando sarà vecchio, di marinella e del suo re senza corona, della moglie del signore di valois che fila la lana, invano aspettando il ritorno dell'eroe, tornano ad animarsi e a resistere al tempo.
ma soprattutto, rivive cecco, il primo autore che ebbe coscienza di poter costruire una maschera di sé, metà gioco letterario, metà terapia autoanalitica e catartica. come anche de andré fece della sua immagine, sospesa fra colto musicista e appassionato cantore degli ultimi.

i clandestini capiscono e meditano. non capita tutti i giorni, ascoltare una canzone di angiolieri-de andré...

venerdì 20 novembre 2009

scià, ca ta nèti

e poi c'è la palmira:
tuta rossa, cappello da baseball in tinta,
occhiali spessi dentro un mare di rughe.

sempre seduta al tavolo della sala da pranzo
(dicono che dorma anche lì),
con un mazzo di carte in mano.

parla rigorosamente in dialetto:
'ta giùgat a scupa? o a briscula? vèn scià, ca ta nèti...'
chiunque lei incroci, non saluta mai,
né chiede altro:
vuole ripulire l'avversario,
e in genere ci riesce.

implacabile dietro rughe e occhiali,
sferra i suoi fendenti,
e alla fine stravince,
e chiede:
'ta voeuret la rivincita?'
(chissà perché, lo dice in italiano).

un'intera vita a rimandare.
e ora, finalmente,
il tempo di giocare.

sabato 31 ottobre 2009

il silenzio delle menti pensanti




ma più di tutto mi piace il silenzio: non quello connivente dell'adulatore, che lascia parlare, e intanto reprime opinioni e obiezioni.
né quello assente del distratto, che guarda senza seguire, e intanto segue traiettorie che lo portano nel mondo_fuori.
ma neanche quello bolso dell'opaco, che ascolta senza capire, e intanto perde il filo.

più di tutto mi piace il silenzio della mente pensante, che medita mentre capisce, e intanto confronta, accorda, discorda, riannoda e scioglie, dubita, obietta, riflette e si specchia nella complessità della realtà.

è un piccolo miracolo che ogni tanto avviene: un'alchimia fra chi parla e chi ascolta. il silenzio sospeso della mano che fissa su carta quello che gli occhi dirigono, comandati dalla mente che ordina caos e scoperte.

la Bellezza dei volti fiamminghi accostati ai fotogrammi del 'Settimo sigillo'. la Memoria civile scoperta attraverso i versi dei 'Sepolcri'. la Caducità della vita che balugina dietro l'ansia di infinito di Dante.
per ogni stazione di questo percorso, un silenzio diverso. e, insieme, la netta percezione che la navigazione potrà essere difficile, ma che navigare è il senso dell'andare.

mercoledì 14 ottobre 2009

a bordo. e dove?

da un mese è iniziato il viaggio, di nuovo:
diciannove nuove facce di clandestini, a condividere otto ore alla settimana,
e già qualche stupore: domande spiazzanti, faccette sveglie nonostante il maldimare, la xamamina contro correnti greche contrarie, e la stanchezza.

ma quando tutto si tiene, succede che anche il mondo_fuori si rispecchi in questo microcosmo. e succede che un immenso dolore, senza senso apparente, si rifletta nelle parole di Dante. e succede che le mie parole, spese per spiegare le sue, scendano come luce sulle menti di chi prima non ne aveva chiaro il significato. ma, soprattutto, scendano come balsamo sul mio cuore ferito e smarrito.

'state contenti, umana gente, al quia: ché, se possuto aveste veder tutto, mestier non era parturir Maria...'.

la rassegnazione per una spiegazione inconcepibile da trovare razionalmente, e quindi lo sperdimento per l'impossibilità dell'equilibrio fra cuore e ragione, diviene, nella fede, ac_contentarsi del fatto che le cose, nel mondo, in questo mondo, hanno un perché, una finalità anche.
un motivo insondabile, indescrivibile, incomprensibile qui. ma che darà felicità altrove. dove?

Paolo, undici bellissimi anni, un mese di scuola media vissuto con entusiasmo, la vita divisa fra cartoni, amici, servizio da chierichetto e pallanuoto. il futuro davanti, tutto intero, una promessa splendente di vita e di amore.
un pomeriggio, solo in casa, pranza, rigoverna, rassicura il nonno al telefono, scrive uno dei tanti bigliettini per la mamma. grazie mamma per quello che fai, ti voglio bene. come al solito,lasciato sulla scarpiera, proprio il primo posto dove lei arriverà.
poi, gioca. ma non riuscirà a finirlo, quel gioco. e non sentirà neanche l'urlo della mamma, che lo vedrà appeso, strangolato.

perché?
l'omelia lo dice chiaramente, che non è possibile trovarlo, il perché.
ac_contentarsi che esiste, però, si può fare. che esiste una forza esterna al bene, che vede la nostra caducità e la porta a compimento. ma che esiste anche il bene, che in un altro tempo, in un altro spazio, trasforma lo smarrimento in cammino, la lacrima in sorriso, la solitudine in com_passione.

mentre spiego Dante, penso a Paolo, alla cassettina con le sue ceneri, alle rughe dei nonni bagnate dal pianto, agli abbracci dei genitori. e, nel silenzio della navigazione, respiro anche per lui.

il quia, è troppo grande per starci in una cassettina. il quia, da qualche parte, ci dev'essere. ma dove?

http://www.laprovinciadicomo.it/stories/Cronaca/95047_lultimo_saluto_a_paolo_una_perla_da_ricordare/

domenica 13 settembre 2009

finestate


gli alberi attorno all'arena si velano di giallo:
il primo segno di una finestate.
nel cielo, un filo di nuvola, e di fresco.
ma è ancora tempo di sandali, e di stare all'aperto, e bruciare le energie, cantare, forse ballare, di sicuro sognare, e trasmettere idee, sogni, speranze, a chi deve ancora fare un po' di strada.

io immagino così i sessantanni. non è ancora autunno, eppure lo si sente alle porte. settembre è la sua diretta rappresentazione. e questo concerto di Patti Smith, l'undici settembre 2009, è la sua metafora.
lei tra poco avrà sessantatrè anni. ma la voce, l'energia, il magnetismo, il calore non subiscono incrinature, quando la vita è stata spesa in un'unica, forte direzione.

quando ho ascoltato la prima volta Patti Smith, ero una ragazzina. mi incantava la sua capacità di raccontare i sentimenti e gli ideali, e la sua presenza fragile e determinata era stato uno dei primi modelli di femminilità per me.
così, quando il concerto si è aperto con 'Frederick', si è aperta una porta nel tempo, e mi è scorso davanti il tempo della mia vita, le scelte, i dolori e le speranze. un largo sorriso mi si è sciolto dentro. e ho provato un'immensa gratitudine per la vita.

poi, Patti ha fatto il resto. ha parlato tanto, ha preso il pubblico e l'ha rivoltato come un calzino, piegandolo alla sua forza, e alla fine se l'è trovato tutto in piedi, ai suoi piedi, incollato al palco, zero transenne e un'unica onda umana che vibrava delle sue parole e delle sue note.

'use your head! seize the moment! we are the future, and the future is now!'
people have the power. lei ci crede ancora, e lo dimostra. come quando invita sul palco una ragazzina a ballare con lei, e la indica a tutti dicendo 'the future!'.
come quando parla della sua visita al duomo di cremona, 'è così vuoto, e solo...dove sono le persone? entrate nel duomo...non solo per religione...anche solo per ammirare le belle cose ci sono dentro, e sedersi, e pensare, magari non telefonare, ma anche mandare qualche sms...fatelo vivere di nuovo! il duomo vi aspetta!'
come quando si lancia in un pezzo in bilico fra reading e canzone, e Tom Verlaine, immobile e ascetico nel suo angolino, la segue coraggiosamente ricamando suoni sulla perdizione e la salvezza di un ragazzo abbandonato.
o come quando, alla fine, sembra non voler più andarsene, e invita i genitori dei bambini vicino al palco ad allontanarsi per non 'ferire quelle piccole bellissime orecchie'.

il sorriso della ragazzina che ero si allarga, si apre, e resta.
l'estate potrà anche finire. posso anche aspettare l'autunno, e poi l'inverno. ma finché avrò musica, avrò vita.

mercoledì 2 settembre 2009

da est a ovest: irlanda


per ogni viaggio di vera scoperta si va da est a ovest, a vedere dove l'orizzonte finisce, a scoprire l'arancione eterno che ribalta il grigio della terra.
e verso ovest si arriva dal mare, qualche volta, la luce sul mare atterrando su dublino lo ricorda, e ricorda i tempi in cui il mare, qui, non c'era, e i celti si sono fermati nella loro marcia perché oltre non si poteva andare.

oltre partivano e non tornavano, e allora tanto vale fondare qui una civiltà, dei miti, degli eroi, una lingua. misteriosa e gutturale. viva. gaeltacht. nel donegal, nel burren, nel connemara, ci sei dentro, le scritte lo indicano, le scritte non parlano l'inglese dei nuovi conquistatori, quelli che si sono presi i green fields e le donne e i costumi e tutto.

e lo scenario è altrettanto misterioso e vivo. landa, pecore a punteggiare il verde, mucche e cavalli, e, vicino all'oceano, solo pecore, e capre, che si avventurano a sfidare strapiombi sulle scogliere, e riposano sul ciglio di strade strette e veloci.
e le case sparse ovunque nella campagna, torba e muschio, e rari cespugli, vento, nuvole, e l'oceano che respira, altamarea, bassamarea, seguendo il ritmo della luna, anche quando la luna non si vede, finché questo mondo durerà.

scogliere e baie, anfratti e penisole, colori di fiori visti solo sui libri, ma più accesi di un qualsiasi ritocco di photoshop. il cielo cangiante a sottolinearne la forza, il mare ad adeguarsi a quella forza. la forza della natura.

una fede che qui sembra vissuta davvero. sembra che la forza di san patrizio che scaccia i serpenti, che scala il kroagh, converte e vince, sia rimasta fra la gente, indurita dalle intemperie del tempo e dei tempi, ma calda di vita. e fede nella forza della condivisione, dell'amicizia; della musica, che è condivisione e amicizia. le storie della musica qui parlano di lontananza, partenza, emigrazione, povertà, soprusi, ma anche di speranza, amore, gioia, promessa. in un equilibrio sul filo dell'ironia e della tragicità, che permette di fuggire la retorica. quello che fa grande questa musica; quello che fa grande questo popolo.

e poi il cielo; insieme al verde, l'elemento naturale più ricco e cangiante. le nuvole rincorrono il vento, obbediscono al suo ritmo, ci fanno l'amore, respirano con lui, più potenti del sole di giorno, o della luna di notte. il cielo porta una pioggia fine, o piccoli spruzzi, o violente docce d'acqua, o getti a più direzioni. ma porta, subito dopo, una lama di sole che taglia in due l'oceano, o un pennello di smalto che vivifica il verde, ma anche i sorrisi della gente. a ricordare che è vita anche questa, anzi, soprattutto questa: pioggia e sole, ma soprattutto vento.

martedì 1 settembre 2009

hallelujah


un pub di legno chiaro, diventato scuro con gli anni e con l'alito di guinness e fumo degli avventori.
un pub di doolin, di fronte all'atlantico.
un pub di sera d'agosto irlandese: dentro, caldo e rumore; fuori, un enorme vaporizzatore che spruzza una nebbia fina e bagnata, che non si sa se venga dal burren o dall'oceano, ma che cir_confonde idee e corpi.

un pub in cui pullman voraci scaricano frotte di giovanotte australiane o di pensionati tedeschi.
un pub con due violini e due chitarre e tanta musica, anche se le giovanotte e i pensionati sembrano essere più interessati alla birra o al whisky o a tutti e due.

poi, in mezzo alle chitarre e ai violini, si siede un uomo, capelli e barba bianchi, e l'aria di chi sa.
canta una canzone su una donna che aveva figli coraggiosi come il loro padre, che hanno lottato per quattro prati verdi.
una a una, le bocche di tutti si chiudono. ancora qualche distratto chiacchiera, sordo più dentro che fuori, chissà.

però poi l'uomo intona 'hallelujah'.
e tutto il pub tace.
forse le australiane la conoscono per shrek, forse gli altri pensano sia un inno di chiesa.
però il silenzio è totale, e 'hallelujah' risuona da tutti i tavoli, da tutte le bocche ebbre di whisky o di guinness, cuce insieme corde vocali irlandesi tedesche francesi italiane americane australiane spagnole, e sembra posarsi sui boccali vuoti, tracimare oltre il pub, mescolarsi al vapore bagnato, correre col vento oltre l'oceano, e finire in canada, là, di fronte, per tornare da dove è partito, nella tower of song, dove vive da sempre e per sempre.
riportando tutto a casa, insieme al 'grazie' e all''alleluia' di tutti per essere lì, per essere in quel pub, per esserci in quel momento, per essere vivi.

lentamente, l'uomo si alza, e, arrancando con dignità sulla sua gamba e sulle sue stampelle, esce dal retro, perdendosi nel vapore.
portando con sé la sua voce. però. e tutta la magia dell'irlanda.

giovedì 6 agosto 2009

moondogs e l'alpe

metti 1225 metri sul mare
e 1000 metri sul lago di como
e mettici pure la luna piena nel cielo chiaro

metti affettati formaggini polenta maialino spezzatino crostata e vino
e mettici chiacchiere tranquille

poi, metti un piccolo palco che dà le spalle alla luna
e sopra mettici due poi tre poi quattro poi cinque amici che suonano
mettigli in mano chitarre e percussioni
e nel cuore la voglia di suonare e cantare

metti attorno a loro una cinquantina di persone
che mangiano e parlano piano
e ascoltano la musica
e cantano anche loro, tutti insieme.

infine, metti ricordi emozioni attese sguardi sorrisi
e falli guidare dalla musica.

se mescoli bene, avrai quella che si candida come una delle notti più belle dell'estate.



(grazie alessio)

mercoledì 22 luglio 2009

adrenalina




da http://it.wikipedia.org/wiki/Adrenalina

Effetti

* Aumento del consumo di ossigeno
* Diminuzione della fatica nelle parti periferiche del corpo
* Aumento del rendimento metabolico
* Aumento del consumo di sostanze nutritive
* Dilatazione delle pupille
* Aumento della frequenza cardiaca
* Vasocostrizione a livello cutaneo
* Aumento della pressione arteriosa
* Incremento delle capacità muscolari


E' proprio così.
Adrenalina è decidere di partire alle sette meno venti da Como, direzione Torino, solo sulla base vaga di una telefonata che dice che ci sono ancora biglietti, e che costano meno.
E' puntare verso ovest, che, come dicono in "Into the wild", è la direzione della scoperta e del viaggio.
E' vivere la modestissima autostrada MI-TO come un mito, la madre che si carica i figli e li porta alla scoperta del mondo.
E' arrivare proprio davanti all'Olimpico, posteggiare lì davanti, alla disperata, mentre lo stadio esplode e sembra lievitare, o forse levitare, in un boato che significa esattamente e solo una cosa: che il rito sta iniziando.
E' vagare fra bancarelle e bagarini disperati, che nonostante tutto vogliono fregarti, e hanno lo sguardo allucinato del giocatore d'azzardo.
E' incontrare, d'improvviso, la dea bendata, materializzatasi in un distinto signore della questura, che esibendo il tesserino dice "signora, vuole due biglietti omaggio? l'accompagno io...", e ci accompagna, e dice " questa signora deve entrare, ha anche una piccola, la faccia passare", e si dilegua.
E' fare il conto alla rovescia volando per le scale, e trovarsi in tribuna prima ancora di realizzare che sì, è vero, faith will be rewarded.
E' vedere un sessantenne con le energie di un ventenne energico, che si regala agli altri senza risparmio, e usa la chitarra per scavare nei cuori, e la voce per incidere nella memoria, e corre verso chi non aspetta altro, sapendo di ricevere in cambio molto più di quello che dà.
E' non sentire più fatica, caldo, ansia. E' non avere più pensieri, e seguire unicamente il ritmo del cuore, ringraziando di avere i sensi perfettamente funzionanti, soprattutto la vista e l'udito.
E' non riuscire ad avere una visione totale della realtà: recepire gli stimoli uno a uno: le tessere del mosaico avranno tempo per ricomporsi più tardi. Ora non c'è tempo, ora è il tempo di vivere, e vedere la realtà a pezzi: la gente che balla ovunque, il prato che diventa rosa di braccia levate al cielo, il maxischermo che rimanda volti conosciuti e sconosciuti, le espressioni di Littlesteven, di Max, di Nils, di Bruce, i cartelli con le richieste, le telefonate a persone speciali lontane, il sax di Clarence, lo stadio preso da dietro le spalle di Bruce, gli accendini su 'Drive all night', ma soprattutto le mani dei miei figli che si agitano insieme alle mie, per una volta, finalmente.




Adrenalina è sentirsi pieni e vuoti insieme, quando le luci si spengono in un ultimo abbraccio, quando la strada verso casa sembra accorciarsi, accompagnata da commenti, messaggi, chiacchiere.
E' sorridere quando Giovanna, prima di crollare sul sedile, chiede: " Adesso andiamo a Udine?". E sapere che no, non andremo a Udine. Ma che questa adrenalina resterà sgocciolando dentro di noi per giorni, facendoci, nel passo del tempo, un gran bene.


venerdì 10 luglio 2009

lo sbarco

la spiaggia si intravvede, lontana, dal capannello prima del primo scritto
e mi fanno anche la foto
io sorrido, eccerto, dico, state tranquilli

e una dice ah ma allora sa già i titoli!!
sì,sì, la gelmini e io siamo amiche d'infanzia...
sei ore di sudore e barrette energetiche e teste basse a pensare
i cellulari sulla cattedra, i passi dei commissari
calma di vento, andare di bolina, studiare la rotta, non perderla mai

e il giorno dopo, quattro ore di maremoto
la signora che non sa leggere, e fa a pezzi cicerone
gli sguardi imploranti, la collega che dice 'ma è faaacile', eccome no? e le secchiate d'acqua sulla faccia per svegliarsi

e la terza prova, dicono che sappiano le domande, ma no, sono quelle consigliate per il ripasso, allora sanno le materie, ma figurati, fino a lunedì non le sa nessuno, e scattano gli isterismi, le cattiverie, i sibili e le insinuazioni, finché non si capisce più chi debba navigare, se i clandestini, i loro genitori o certe prof.càpita, quando si è tutti stretti in pochi metri quadrati di nave

però poi passa tutto, si estrae a sorte, tutti in giro a testa alta, e chi s'è visto s'è visto

e l'ultima mareggiata, l'orale nel caldo torrido del luglio, denti stretti, facce bianche, disinvoltura in affitto, domande in bilico fra digintà e nozionismo.

ma, alla fine, un sorriso, una stretta di mano, grazie, arrivederci.
lo sbarco.
qualcuno andrà lontano, nel mondo_fuori. qualcun altro si fermerà. ci sarà chi farà quattro figli e chi avrà due mogli. chi farà esattamente quello che ora sta sognando, e chi sognerà tutta la vita quello che non farà mai.
li vedo allontanarsi e prendere il largo. qualcuno lo rivedrò ancora, mi sa. qualcun altro mai più.

rimetto gli attrezzi nella stiva. ora, posso vivere anch'io il mondo_fuori.

sabato 13 giugno 2009

13 giugno 1979





e io ero all'arena, quella sera, quando diedero la notizia della sua morte.
18 anni, e un'inconsapevolezza musicale a cui ora guardo con tenerezza (però finardi, guccini, de gregori, de andré, non me li facevo certo mancare).

cresceva invece proprio in quei giorni, i giorni prima della mia maturità ( essì, ero un anno avanti), anche la consapevolezza politica.il decennale di piazza fontana e di pinelli, il caso moro, il delitto impastato. la cronaca sofferta e vissuta, che mi ritrovo, trent'anni dopo, a cercare di spiegare ai ragazzi. per non dimenticare.

di quella sera ricordo l'emozione di vivere un concerto vero, fuori dalla mia piccola città provinciale, per un'IDEA, che valeva più, ancor più, della musica.
di quella sera ricordo la mia amica del cuore, le migliaia di facce pensose e comunque felici, mio padre che ci aspettava fuori per riportarci a casa in auto (il primo regalo adulto dei tanti che mi avrebbe fatto).
ricordo con nettezza il momento dell'annuncio della morte, l'applauso che era sbocciato, e ricordo di aver pensato che l'eco doveva arrivare fino a lui, il nostro grazie a lui, che aveva scelto di condividere con gli altri il dono di una voce aliena e umanissima, oltre che di una coscienza civile cristallina.

sono passati 30 anni, quella ragazzina ha conosciuto altra musica, ha percorso chilometri per sentire centinaia di concerti. ma quella sera l'ha custodita nel cuore, come l'inizio di un amore.
e quell'idea, seppur rattrappita, pulsa in lei.


sabato 6 giugno 2009

fineanno




e di nuovo siamo a giugno
la stiva si riempie di tabelloni calcolatrici matite gomme fogli
i pensieri si riempiono di numeri calcoli giudizi

la ciurma naviga a vista:
c'è chi mette le assenze anche se mancano tre giorni
c'è chi ha lo scrutinio domani e non ha ancora scritto niente
c'è chi ha lo scrutinio fra una settimana e ha già fatto tutto
c'è chi aspetta l'ultima ora per pentimenti tardivi o sentenze definitive

i clandestini vagano nei corridoi in cerca di refoli di aria
o di soffi di vita

le cuccette si saturano delle ultime parole dette
forse ancora qualcuno pensa 'devo finire il programma'
ma si vergogna a dirlo, ormai
forse qualcuno pensa 'è tempo di tacere'
ma non è abbastanza forte per dirlo.

tutti sanno che le persone non si possono chiudere in una media matematica
eppure questa è la rotta
e la dobbiamo percorrere tutta, per approdare.

così, sotto con tabelloni calcolatrici matite gomme fogli
e numeri calcoli giudizi

il sole di giugno vuole ricordarci che il mondo_fuori ci sta aspettando.

sabato 23 maggio 2009

roba da maschi



l'amicizia, si sa, è sostantivo femminile.
ma ho sempre pensato che sia affare da uomini.
le sbronze, le nottate senza tempo, i vagabondaggi, le fughe dalle donne, la misoginia tenera di chi, poi, alle donne non sa rinunciare, i discorsi pastosi che vagano liberi dal ciclismo al suicidio, dall'abbandono al calcio.
roba da maschi.

un universo che si è squadernato con indefinita esattezza ieri sera, su un ring. ché anche di pugni è fatta la vita. ma anche di abbracci, e asciugamani gettati, e di colpi che ti stendono al tappeto, e la forza di rialzarsi te la dà ora un arbitro, ora il pubblico, ora lo stesso avversario. che se poi è un compagno_complice è meglio.





un paio di poeti veri, uno dei quali prestato alla musica, ha celebrato la propria privatissima amicizia. con_dividendo, prima in qualche serata (memorabile quella alla salumeria della musica), poi in un libro, ora in un piccolo prezioso tour, ricordi, emozioni, delusioni, esaltazioni, scoperte e sbandamenti, senza pudore, con amore.

quanti erano accorsi ieri nell'open space gentucca bini (ah, dante...) per 'sentire capossela' un certo punto erano usciti, fuori, ad affumicarsi e strafogarsi di pane salame formaggio. chissà di cosa chiacchieravano, loro.
il suono delle loro ciance arrivava sordo fin nell'interno.
dove altre parole scivolavano dai volumi alle mani che li reggevano, trascorrevano nelle voci che le interpretavano (due stili diversi, anche lì: de niro_capossela, gazzara_cinaski), e infine arrivavano ai nostri cuori, dirette come uppercut.
stesi a terra, stanchi e perduti, rancorosi eppure vivi.
quanti si sono sentiti così, dentro, almeno una volta nella vita?
ecco. i chiacchieratori panesalamati forse no.
noi, in quel salone diventato ring per una sera, sì.

i maschi risentivano il sapore forte di un'amicizia vera.
le femmine potevano solo immaginarlo.
ma tutti ne erano incantati.
poca musica suonata. tanta, quella parlata.
poesia dissipata a piene mani.
che è poi quello che conta.

mercoledì 13 maggio 2009

i blogger, o la letteraturizzazione della vita

"Con questa data comincia per me un'era novella. Di questi giorni scopersi nella mia vita qualcosa d'importante, anzi la sola cosa importante che mi sia avvenuta:la descrizione da me fatta di una parte. Certe descrizioni accatastate, messe da parte per un medico che le prescrisse. La leggo e la rileggo e m'è facile di completarla di mettere tutte le cose al posto dove appartenevano e che la mia imperizia non seppe trovare. Com'è viva quella vita e come è definitivamente morta la parte che raccontai. Vado a cercarla talvolta con ansia sentendomi monco, ma non si ritrova. E so anche quella parte che raccontai non ne è la più importante. Si fece la più importante perché la fissai. E ora che cosa sono io? non colui che visse, ma colui che descrissi. Oh! l'unica parte importante è il raccoglimento. Quando tutti comprendono con la chiarezza ch'io ho tutti scriveranno. La vita sarà letteraturizzata. Metà dell'umanità sarà dedicata a leggere e a studiare quello che l'altra metà avrà annotato. E il raccoglimento occuperà il massimo tempo che così sarà sottratto alla vita orrida vera. E se una parte dell'umanità si ribellerà e rifiuterà di leggere le elucubrazioni dell'altra, tanto meglio. Ognuno leggerà se stesso. E la propria vita risulterà più chiara o più oscura, ma si ripeterà, si correggerà, si cristallizzerà. Almeno non resterà qual è priva di rilievo, sepolta non appena nata, con quei giorni che vanno via e s'accumulano uno uguale all'altro di fronte agli anni, i decenni, la vita tanto vuota, capace solo di figurare quale un numero di tabella statistica del movimento demografico. Io voglio scrivere ancora."
(Italo Svevo, Confessione di un vegliardo, 4 aprile 1928).

lo leggo, ad alta voce, nel silenzio di una nave incerta, nelle burrasche di questi giorni, persi fra burocrazie e piccole beghe di stiva.
i clandestini ascoltano, raccolti.
e mi accade di parlare senza riflettere, scoprendo cose nel momento stesso in cui le dico. pericoloso, ma eccitante.
e dico: 'anche qui, svevo è un profeta. in un'età lontanissima dalla nostra, in cui di sicuro nessuno avrebbe pensato alle potenzialità di un ordigno come il pc, svevo ci chiede di raccoglierci, di scrivere e di annotare, e pazienza se nessuno leggerà quanto l'altro scriverà. l'importante sarà aver sottratto la vita alla sepoltura a cui sarebbe destinata altrimenti. e cos'altro è, se non la stessa spinta che anima i blogger?'.
alcuni di loro ce l'hanno, un blog. le luci negli occhi lo rivelano.
anch'io ce l'ho, un blog.
e siamo tutti salvi dalla sepoltura.
grazie, ettore schmitz.

martedì 12 maggio 2009

mobyaricco

e lo guardo
e penso che accidenti, sì, ne è passato del tempo
da quando, accoccolata vicino a mia madre, vedevo 'l'amore è un dardo'

ora mia madre non c'è più
e al suo posto ci sono i miei figli

per lui, non c'è più la camicia con le maniche arrotolate
e al suo posto ci sono le rughe

però c'è ancora quel suo tono acuto e svagato
leggero anche quando dice cose pesanti
e il brillìo negli occhi quando con_divide quello che ama

i capelli bianchi li porta bene
i capelli bianchi come achab
e intanto la vita passa.




http://www.chetempochefa.rai.it/TE_videoteca/0,10916,,00.html?nome=baricco&anno=&mese=&x=32&y=4&tipo=vt

sabato 18 aprile 2009

il poeta e la chimera



la grand'aula è silenziosa. larocca, con chitarra e armonica, canta e la percorre, guardando negli occhi i clandestini, che hanno bivaccato, panini e lattine, per nutrirsi poi di musica, e poesia, l'unico cibo che fa crescere davvero.
i clandestini lo sanno. forse non tutti, ma molti sì, e gli altri lo sapranno presto.

ascoli entra, e diventa subito campana, il folle, il santo, il poeta e il profeta, la chioma orssa e le parole di fuoco, che aspettava da una vita la sua chimera, la faunessa, la vergine esperta, quella che fa del sospiro parola. la sua sibilla.

entra poi la macinai, e ha già lo sguardo di scrittrice affermata e insoddisfatta, poetessa notturna, femminafemminista, che si perde nel labirinto del veggente.

parole di circostanza, prima. due scrittori che si scrivono, dandosi del voi, dandosi appuntamento.

parole di amore, dopo l'amore. e dopo l'amore la donna parla, scrive, cerca e trova un senso alla sua adorazione.
dopo l'amore l'uomo tace, freme, osserva la metamorfosi delle cose e delle rose attorno a sé.
ma la malattia della vita lo prende, inesorabilmente. e alla fine tace lei, mentre lui grida aiuto.

la musica sottolinea le parole, si mette al loro servizio. umili e grandi, tutti e tre, nel ri-evocare lo spirito di un amore perduto.

anche i clandestini che non l'avevano ancora capito, ora lo sanno, anche loro.

(e, sullo sfondo, il ricordo di un'altra voce, di un'altra nave, naufragata nei meandri di una vita perduta. carmelo bene, una sera, lo sferisterio.)




www.chille.it

mercoledì 15 aprile 2009

si gira(?)

i clandestini sono fuori
tutti rinchiusi in una tavernetta psichedelica
bevono fumano ballano ridono urlano

di fronte a loro, una cinepresa
due faretti con plastica colorata sopra
un aggeggio che pompa fumo, non bastasse quello delle sigarette

si gira. un corto che più corto non si può
ma costato tre anni
di letture
scritture
riscritture
prove
compromessi
bronci e sorrisi

la regista è implacabile
i suoi compagni le obbediscono
e tirano fuori una resistenza, una grinta, una voglia insospettabili.

sette ore di fumo e faretti
per due minuti scarsi di girato.
non è ancora finita:
arriveranno altre scritture
riscritture
discussioni e prove.

ma tra qualche giorno quest'avventura finirà.
e forse la rimpiangeremo.

mercoledì 8 aprile 2009

da virtuale a reale

copincollo un link a un'iniziativa.
anche per discuterne, con tutta la dietrologia del caso (quanto possa valere, quanta pubblicità indiretta possano ricavarci, quanto il virtuale possa diventare reale...)

in ogni caso, poca favilla gran fiamma seconda...

http://1000post.wordpress.com/


Iniziativa 1000 post per l’Abruzzo

COSA FAREMO E COME TI CHIEDIAMO DI CONTRIBUIRE:
doneremo 1000 Euro alla Croce Rossa Italiana una volta raggiunto questo semplice obiettivo: almeno 1000 link a questa iniziativa. Se hai un blog o un sito, se scrivi per un giornale o per un portale…insomma se hai modo di diffondere questa iniziativa tramite un tuo strumento, segnala questa iniziativa e segnalacelo tramite un link in un commento qui sotto.

1000 Euro sono un sasso gettato nello stagno…ok. Ma chi ci dice che non si generino altre dieci, cento, mille iniziative simili? Magari partendo la prossima volta da persone, gruppi, enti o società con una disponibilità economica maggiore di quella di un gruppo di amici giovani e squattrinati.

L’obiettivo non è tanto raggiungere la quota dei 1000 post cui è vincolata la donazione, ma dimostrare che il mondo del web è pronto a produrre una mobilitazione concreta e tangibile.

_________________________

Le tragedie colpiscono il cuore.
È successo a tutti noi, ieri, mentre scorrevamo le notizie riguardanti il terremoto in Abruzzo. Facebook, Twitter e la rete nel suo complesso sono stati giustamente invasi da messaggi di solidarietà ed indicazioni su come concretizzare il proprio desiderio di dare una mano. Uno dei sentimenti predominanti, infatti, è proprio quella desolante sensazione di impotenza. Chi non si è chiesto “cosa fare” vedendo una dopo l’altra susseguirsi le testimonianze di tante vite distrutte?

La stessa domanda ce la siamo posta noi, un pugno di ragazzi senza grandi mezzi economici ma con la ferma convinzione che una rete, anche virtuale, possa sprigionare energie ed entusiasmi insperati, e che da questi si possa partire per creare connessioni, interazioni e discussioni da cui nascono idee che producono effetti positivi a cascata nel mondo “reale”.

Abbiamo creato questo blog, perchè va bene cambiare il proprio status su Facebook, va bene segnalare il link al sito della Croce Rossa Italiana su Twitter ma noi vogliamo incanalare e toccare con mano questo intangibile marasma comunicativo. Vogliamo dimostrare come dietro un pc, dietro un blog, dietro un profilo Facebook, ci siano persone reali che pensano e si mobilitano…per quel che possono. Il nostro è un piccolo tentativo per valorizzare gli strumenti che abbiamo a nostra disposizione. Abbiamo deciso di mettere mano al portafogli e mettere insieme i risparmi di mesi ma vogliamo che la rete dimostri la propria volontà a PARTECIPARE. Vogliamo DARE VALORE ALLE PAROLE, le tante parole fatte, che si stanno facendo e che ancora si faranno nei prossimi giorni. Non vogliamo essere gli “eroi” del web e tantomeno avere notorietà per un gesto che è semplicemente doveroso, ma ci piacerebbe contagiare tutti quelli che potrebbero fare come noi e molto di più. PARTECIPIAMO, PARLIAMONE, DIFFONDIAMO. Una volta tanto, FACCIAMO RETE. Cerchiamo 1000 buoni motivi per fare la nostra parte, noi ne abbiamo alcuni in mente, aiutateci a trovarne molti altri.

lunedì 6 aprile 2009

un pomeriggio, in un ipermercato

in mezzo a telefonini
consolle
videogiochi
aspirapolveri
lavatrici

vago cercando un auricolare
e da venti televisori sky trasmette facce e macerie
macerie e facce
l'audio si sente appena, ma non è necessario
come, di colpo, non sono necessari
i telefonini
le consolle
i videogiochi
le aspirapolveri
e perfino le lavatrici

ho trovato l'auricolare
ma ho messo anche gli occhiali da sole
che nascondano le lacrime
queste, sì, necessarie.

domenica 29 marzo 2009

un concerto, dieci anni. e oltre.



il concerto inizia molto prima, mesi prima, prenotando i biglietti in prima e seconda fila per una ventina di amici. e anche questa volta, come altre volte, divertirsi vedendo l'espressione stupefatta della cassiera della biglietteria, mentre snocciola la lunga teoria dei biglietti, tutti uniti, come una fisarmonica in anticipo.

il concerto si perfeziona durante i mesi successivi, con l'attesa, le anticipazioni, i manifesti fatti apposta in giro per la città, le interviste, i commenti. il futuro che resta un sogno, finché le luci non si spegneranno.




il concerto si materializza le ore precedenti, quando ci si mette d'accordo su dove e quando trovarsi, e finalmente ci si trova, davanti a teatro, e ci si saluta per nome, ricordando (con un po' di nostalgia colorata di dolcezza) quando, in una chat, tanti anni fa, ci si riconosceva con un nick: il nome che ciascuno di noi si era dato, ribattezzandosi in una nuova nascita nel segno della lucertola.

il concerto esplode nel teatro, quando il profilo del Grande Sciamano entra nel cono di luce, abbracciato alla sua chitarra, e intona 'Ave Maria', quintessenza di un'anima indefinibile, un po' preghiera, un po' rito scaramantico, un po' 'grazie' e un po' 'non c'è di che'.
e continua con un regalo che lui si fa: la voce da tenores di Beppe Dettori, un viaggio nella vera Sardegna, quella non toccata dalle cartoline dell'Italia del miracolo, ma conservata immune nella sua millenaria poesia.
l'altro regalo è la presenza, sul palco, dei due compagni di strada più importanti, quelli che dieci anni fa c'erano, e che la vita ha provveduto ora a riunire: Anga e Billa.
l'atmosfera, di solito, non si può toccare. però l'atmosfera di quel teatro emana un calore palpabile. e nel cuore di ciascuno un grido, che non verrà mai detto: 'bentornato a casa'.
lo Sciamano lo conosce bene, quel grido. e gli regala tre ore di ricordi, emozioni, musica ad altissimo livello, confidenze sussurrate e storielle da bar, il lui di dieci anni fa e quello di adesso, profondamente diversi fra loro, ma uniti dal filo della coerenza e dall'amore per la semplicità (ché 'spesso le cose migliori sono le più semplici'...).
gli sguardi del pubblico si incrociano, i sorrisi si allargano, l'intesa è più profonda, la magia del rito si ripete, le orecchie e il cuore cantano insieme.

il concerto termina con una lunga sequenza di ringraziamenti, il più vero e toccante a un padre invisibile, eppure presente ('il fatto che un padre non ci sia più non significa che abbia smesso di essere un padre'...), con una 'ventanas' emozionata, emozionante e inafferrabile, da custodire nel profondo del cuore e indossarla nei momenti scuri.
e su 'la curiera' si snoda uno striscione, creato, sei anni fa, dalle mani di tre maggghe e due bimbi, in un pomeriggio di amicizia e sorrisi. lo striscione trascorre di mano in mano nella platea, e da questa nella prima fila dei palchi, silenzioso e inesauribile, colorato e pieno di vita, come il tempo di questi anni. il migliore 'grazie' allo Sciamano, ma anche il migliore 'non c'è di che'.







il concerto continua, nella notte, davanti a una birra Breva (...), legata dal nastro dell'amicizia. e prosegue, il giorno seguente, e per tutti i giorni che verranno, nei sorrisi di chi c'era.
nell'attesa del prossimo concerto.

mercoledì 25 marzo 2009

i giganti sono scesi dalla montagna

l'ho letto
l'ho riletto
e l'ho visto e poi rivisto su dvd.

ne ho parlato.
centinaia di clandestini hanno sgranato gli occhi sulle gesta del mago cotrone, della contessa ilse, di mara-mara, della sgricia e del suo angelo centuno.

però, ogni volta che lo rivedo, 'i giganti della montagna' mi interroga ancora, e io rispondo interrogandolo, e lui mi dà sempre risposte diverse.
ieri sera, per esempio. ci ho visto dentro leopardi, fellini, pasolini, testori, gadda, la magna grecia, i fratelli lumière, i manga, verga, il pitré e il folklore siciliano, e il cursore dei miei ricordi andava avanti e indietro, come dicono sia nell'ultimo momento della vita.


tiezzi e lombardi hanno preso l'ultimo, incompiuto testo di pirandello. l'hanno amato, prima di rappresentarlo, il primo pirandello della loro vita teatrale, il più iniziatico, pitagorico, ermetico.
e poi l'hanno visto come l'ho sempre visto io: un testo_mito, profetico, ma di quelle profezie oltre la storia. e ci hanno riassunto dentro tutti i miti di cui l'uomo ha bisogno di nutrirsi per vivere oltre se stesso. i sogni, le voci, le immagini. tutto, purché provenga dalla fantasia, la sola che ci rende rappresentabile, e quindi sopportabile, l'idea della morte.




aggiungendoci un allarme. il rischio dell'omologazione culturale è divenuto, col tempo, una certezza. il teatro divenuto avanspettacolo. il binomio eros_thanatos una merendina da sgranocchiare in un reality del pomeriggio. la cultura è roba da perdenti, la forza vince. lo scatolone magico proietta ombre senza senso.
davanti a questo, il sacrificio è l'unica via di fuga. e persistenza è solo nell'estinzione, come avrebbe scritto montale.










martedì 17 marzo 2009

le ali ripiegate (la prossemica e la poesia)

la stiva è fitta di parole. vengono i genitori dei clandestini, a parlare con la ciurma. vengono con una scialuppa di salvataggio, alcuni; armati di bombarde e moschetti, altri; di salvagenti e thermos; ma soprattutto di parole, tante tante tante parole.
ipotesi, antitesi, sintesi, tensioni e ansie. ricordi d'infanzia, psicodrammi familiari, colpe come fardelli da scaricare, finalmente, e che qualcun altro se li prenda e li butti a mare. oppure, la bellezza degli scarrafoni. o anche, ma meno spesso, il giusto e lucido orgoglio della medaglia al valore appuntata sul petto.

oggi, però, fra tante parole, c'è anche una presenza muta. un clandestino tace, mentre padre e prof si parlano. li guarda, alternativamente, mentre loro si spiegano com'è fatto lui. il suo silenzio è leggero, però. parlano i suoi gesti, il suo porsi fra loro, vertice di un ipotetico triangolo che si nutre di ipotesi.

il padre, confidenziale, affabile, appoggia il gomito al tavolo, proteso verso la prof, che è laterale al clandestino, a dirgli tutto bene, sono dalla tua parte. le mani in grembo, che solleva appena, quando vuole dare enfasi alle parole, il registro di fianco, chiuso, non belligerante.
il clandestino tiene anche lui le mani sul grembo, ma non ha altro a cui appoggiarsi. le spalle scendono, in asse col collo. gli vedo le ali sotto il maglione. sono ripiegate, è per questo che ha le spalle così abbandonate, sotto il peso delle ali.
potesse, spiccherebbe il volo nel mondo_fuori. potesse, spiegherebbe l'acuta nostalgia dell'infanzia che lo sta prendendo ora, mentre è sul limitare dell'età adulta, e non può tornare indietro, né sa andare avanti.
ma non può, né sa.

ascolta, però, le parole degli altri. chissà quando riuscirà a parlare, anche lui.

giovedì 12 marzo 2009

cinema...

chiusi nel buio della sala da ballo, i clandestini fanno festa, oggi.
oggi c'è un ospite da fuori, che li guida in una danza nuova. il cinema qui dentro assume tutto il suo senso: per un'ora siamo cullati dal liquido amniotico del sogno, che neutralizza le maree del quotidiano.

e l'ospite da fuori li conduce, tutti, da into the wild in un giro di valzer attraverso i road movie, il film di avventura, i western, nanuk l'eschimese e crossing the bridge, ombre rosse e eldorado road, lisbon story e grizzly man, per perdersi, infine, nello sguardo di ulisse, che polverizza ogni possibile tentativo di recuperare la primitiva innocenza.

secoli di cinema davanti a loro, inconsapevoli prima, impressionati poi, come pellicole ancora da scrivere, che portano negli occhi il bisogno di capire l'inconoscibile.

attorno e dentro, il suono della ricerca della solitudine e del silenzio, dei grandi spazi e di una natura che inghiotte e protegge, di un eroismo alla rovescia, che si frantuma nel gesto stesso del perdersi.
e insieme, lo sguardo del regista, di tutti i registi del mondo, che interpretano i nostri sogni e ne fanno un'arte.
il_mondo_fuori entra nella nave. e diventa visione.

mercoledì 11 marzo 2009

ancora de sfroos



sono più di dieci anni, Davide.
molti di più.
da quando la voce di un ragazzino che si chiamava David Action arrochiva le sonorità dei Potage, testi demenziali e spirito punk.
da quando solo Milva o Rummenigge abitavano le ville del lago, e il Lario non era trendy.
da quando alla sagra dei fulcinitt le storie dei borderline De Sfroos impensierivano con leggerezza le salamelle con vista.

ricordo di avere avuto un brivido quando, giusto dieci anni fa, 'La Provincia' ribaltò la pagina degli spettacoli per parlare solo del suo concerto. e quando, alla sagra di Sant'Abbondio, settembre 1998, la gente che assiepava il piazzale conosceva tutte le canzoni.
'mi sa che ce la fa', dicevo.
ce l'ha fatta, mi sa.

l'alchimia della sua musica è un segreto nascosto nelle onde del lago.
l'ironia del suo mondo non è mai scevra di rudezza.
e il dolore che spesso, con pudore, nasconde, è sempre addolcito da un sentimento di speranza, ruvido eppure trasparente, come certi sassi, prima sputati, poi cullati per sempre dalle onde.

ci ho parlato un (bel) po' di volte. ha la cordialità brusca e sincera degli uomini del lago, la battuta pronta, pungente.
ma il suo sguardo è inafferrabile. piuttosto, è lui che afferra chi lo guarda, per non mollarlo più. sciamano dei sentimenti, medium delle emozioni.
ama definirsi iperrealista. in realtà, ho sempre pensato che sia l'ultimo dei lunatici, atterrati millenni fa sulla terra, per il quale è stato scelto un habitat a metà fra terra e cielo, perché la sua poesia potesse riposare meglio.

lunedì 9 marzo 2009

mal_fermo6

e poi c'è la germana
cento chili, un grembialaccio, un fazzoletto al collo come tornasse dai campi

eppure, appena apre bocca, eloquio perfetto, espressioni forbite, sintassi cristallina

eppure, appena apre gli occhi, lampi vividi e liquidi nello sperdimento di uno sguardo.

germana, il passo lento, il ventre largo
un marito sparito in pochi giorni
due figli assenti da anni
un lungo silenzio a tollerare il dolore

e, da allora, una, sola, immensa idea:
lei, una profetessa della povertà
lei, abiti semplici per espiare il lusso altrui
lei, ogni sigaretta fumata, un bambino africano salvato.
tanto può fare, la profetessa germana, senza marito, eppure medium di uno spirito contadino lontano secoli.

e la vedi fumare d'inverno, nel gelido giardino
uno scialle marrone sulle spalle forti
lei, la germana, sola e povera
lei, la profetessa, vittoriosa e tenace.

martedì 3 marzo 2009

forever young





e una sera ho visto neil young,
l'icona dei miei anni.
un sessantenne lucido e diritto:
completo panna quando è acustico,
otto chitarre, quindici armoniche,
e da ognuna un sogno.

inizia con from hank to hendrix.
seguono in ordine sparso i sogni delle mie età, tutte intere, tutti interi.




poi riappare con completo nero,
abbraccia la sua elettrica,
e diventa un rocker senza tempo.
con due dei suoi crazy horse
sul palco, un pittore che dipinge tele
e lettere che si accendono.

cavalcate elettriche distorte, e dolci armonie country;
impegno politico, e riflessioni esistenziali.

non avrei mai smesso di ascoltarlo,
e intanto riflettevo:
se anche non ci fosse un aldilà,
credo che le fibre del mio corpo
nell'eternità della materia
continuerebbero a risuonare del ricordo di quella musica.

domenica 1 marzo 2009

tutto il mio folle amore


siamo sottoterra. e resistiamo tutti.
manca l'aria. però ci sono la Poesia, la Polemica, la Profezia. P.P.P.

quanto amore, Pasolini, quanto amore, da succhiare tutta la sua breve vita. dalla Poesia della pioggia che balla fra le viole, negli scritti in friulano, alla Polemica sulla d_istruzione, operata dalla televisione, fino alla Profezia di una società massificata, spogliata del suo passato, senza memoria, e quindi, senza speranza.

"e se mi accade
di amare il mondo non è che per violento
e ingenuo amore sensuale
così come, confuso adolescente, un tempo
l'odiai, se in esso mi feriva il male
borghese di me borghese"


eppure, in questo teatro sottoterra, che condivide le fondamenta con la Scala e Bankitalia, la resistenza si respira, come la poca aria che c'è.
un uomo e una donna, lui potente e intenso come Manzanò, lei lunare e delicata come Giulietta, inscenano un circo di paese, e ognuno dei due è un medium, attraverso cui rivive P.P.P.
con la sua elegiaca Poesia di un passato contadino, con la sua feroce Polemica per un presente individualista, con la lucida Profezia di un futuro instabile.
il sorriso dei pagliacci si spegne nel silenzio del pensiero.
radio Ostia gracchia una verità che pochi vogliono sentire.
il fiore è calpestato.

ma il Teatro vive. e la voce di P.P.P. con lui.



TUTTO IL MIO FOLLE AMORE
s-concerto poetico per un profeta popolare: Pier Paolo Pasolini
di e con Alberto Astorri e Paola Tintinelli




giovedì 26 febbraio 2009

la plancia

tutti riuniti, oggi, i marinai, col commodoro e la vice. si discute di quanti voti (uno) bocciare un emendamento. si discute di lettere di un marinaio al commodoro. si discute di dirittidoveriricorsiregolamenticodicilliarticoli.
si discute, forse, è una parola grossa.
qualcuno discute. ma gli altri, gli altri...
gli altri marinai si sono attrezzati al maremoto. salvagenti ovunque: chi legge seneca, chi i temi dei clandestini, chi il giornale. aggrappati al reale, qualechessia, pur di sopravvivere alla marea di insulsaggini, alle ondate di insulti che si infrangono sulle teste.
un marinaio in là con gli anni, esacerbato prima da tutta una vita che da questo pomeriggio, urla : 'baaaaaaaaaaastaaaaaaaaaa...sto buttando via il miiiiiiiiiio teeeeeeeeeempoooooooo'.
'professore, si curi!', replica il commodoro.
'eeeeeeeeeeehhhh? queste cose a me non le diiiiiiiiiiiiceeeeeee, oooooeeeeeeeehhhh!'

la seduta è chiusa.
la mareggiata si calma.

fuori, una clandestina aspetta i suoi amici. in una cuccetta vedranno 'il senso della vita' dei monty python. se non fosse che mi sento più vicina a lei che ai marinai, mi vergognerei.

martedì 24 febbraio 2009

schignano: i colori del tempo



il mascarun è gonfio di colori e pizzi e nastrini e gale e fiori. passa per il paese pavoneggiandosi col suo ombrellino, insensibile a quanto gli sta attorno. guarda con aria di compatimento il brut, che corre qua e là e s'accascia, poi, stremato, in un angolo, coi suoi stracci e quanto è riuscito a salvare dalla rovina: una valigia sfondata, un pezzo di tubo di scarico, un rottame di grondaia, una lenza con un pesce.
i sapeur, con le loro pelli di pecora, osservano solenni, mentre il sigurtà, dai baffoni prepotenti, cerca di mantenere l'ordine.

tutto attorno, la piccola piazza di un paese di valle, che conserva, scrigno impenetrabile, un carnevale fra i più antichi e simbolici, perennemente in bilico fra sogno e realtà.

brut, mascarun, sapeur, sigurtà, parlano un linguaggio di migliaia di anni, che, appunto, non si esprime con le parole, né con gli sguardi, nascosti da maschere di legno inespressive, ma coi colori, coi gesti, con quello che ora si dice 'il_non_verbale', e che è, da sempre, la lingua dell'ineffabile. della lotta fra sorte e vita. dell'avvicendarsi del destino, che dà e toglie. del trascorrere del tempo.
il cui silenzio si può occultare solo con un campanaccio.
il cui timore si può esorcizzare solo con una maschera.
il cui mistero si può scrutare solo sul fondo di questo lago lontano.

New-man al Ciak


Ciak, si canta.
Entra un signore vestito da americano in vacanza, pantalonacci e camicia che gli copre la panza.
Si siede al piano. E’ robusto, i capelli sono bianchi, occhiale fuori moda. Sembra piccolo, davanti al gran coda.
Ma quando le mani grassocce si posano sulla tastiera, in sala si fa un silenzio sospeso. Quell’americano in gita sa spremere emozioni da quella tastiera, e lo fa maledettamente bene, con l’arma più carognescamente efficace e intelligente che l’uomo abbia a disposizione:l’ironia (rara),l’autoironia (rarissima), l’abilità di cogliere da un dettaglio un simbolo (e qui siamo nell’astrale).
Canta, suona, e parla. In americano, logico. Ma in tanti lo capiscono, ridono, lo seguono. E lui si scioglie, si sente bene, si sente che si sente bene. Inanella una perla dopo un’altra, con quella sua voce metà da nero ubriaco (e che differenza fa se è bianco, e sobrio?) metà da Forrest Gump (eggià, ci ha fatto pure la colonna sonora…).
Come la vita, una scatola di cioccolatini, e non sai mai cosa ci puoi trovare dentro. Le risate si alternano ai brividi, la tristezza all’allegria, il chiaro allo scuro. L’omone in vacanza ci prende per mano e ci fa fare un giro nel suo mondo, fatto di amori, di sentimenti, di dolori, di solitudini, di equilibri precari.
Dice che ha scritto colonne sonore per soldi…spesso avverti il mestieraccio di chi sa come fare il ruffiano…ma i guizzi di genio ci sono, eccome.
Anche per quel suo modo di fare suonare il pianoforte, metà Scott Joplin metà Hollywood, che le mani sono due, ma ne senti di più, anzi, ci senti un’orchestra dietro, a volte. E altre volte lo senti tremendamente solo, e ti viene da dargli una pacca sulle spalle, e dirgli, ‘dai Randy, ce la farai anche stavolta…’.
E fa un bell’effetto straniante, da cannocchiale rovesciato, vedere che lo applaudono Conte, Pagani, Bubola…tutti lì, seduti ordinati precisi come scolari. Chissà quanto e cosa hanno imparato da lui.

OK, Randy.Hai fatto il tuo sporco lavoro anche stasera. Go home. A noi resta il flash delle tue mani grassocce e magiche riflesse nel gran coda.

mercoledì 18 febbraio 2009

la stiva

negli armadietti ci sono i ferri del mestiere,
ma c'è chi ci tiene anche altro, cose portate dal mondo_fuori:
spazzolini e dentifrici
pettini
specchietti
per lo spettacolo quotidiano;

panini
bottigliette
viveri
per la pausa pranzo economica;

caricabatterie
cellulari
per gli sos.

nella stiva c'è tutto quanto serve per navigare:
inchiostri e fotografie
bit senza peso e volumi ponderosi
penne, matite, pastelli, chiavi usb, dvd, vhs, cd rom e tutte le sigle elettroniche possibili.

cose, stipate nella stiva.

ma senza la ciurma non si può navigare.
teste per pensare e far pensare
occhi per vedere e far vedere
bocche per parlare e far parlare
orecchie per ascoltare e far ascoltare
mani per prendere e far prendere
gambe per andare e far andare

respiro per vivere e far vivere, finché si riesce a vivere, sulla nave, o nel mondo_fuori;

impossibile anche solo pensare di affrontare il mare,
senza questa ciurma presuntuosa
narcisa
dubbiosa
scalcagnata
umanissima
che nasconde negli armadietti il salvagente della conoscenza.

martedì 17 febbraio 2009

dantaranta




glielo faccio vedere senza presentazioni,
ché saetta previsa vien più lenta,
e quindi fa meno male,
e non voglio che faccia meno male.

la saetta colpisce,
con tutto il suo potenziale esorcistico,
ipnotico,
esoterico,
mitico.

poi, chiaro, gliene parlo:
e parlo del ritmo, che vuol dire numero,
e della perfetta metrica dantesca,
le benedette terzine incatenate, dal sapore popolare,

popolare e rituale insieme, come solo quello che viene dal medioevo sa essere.


e parlo del degre, logico

(qualcuno non lo conosce, ahi serva italia)

e di bob dylan, della comune ricerca delle radici della musica,

e di sparagna, la cui ricerca delle radici è diventata poi, (forse) suo magrado, un affare salentino.


ma parlo anche della scelta dei brani, che si intrecciano fra loro, anche se provengono da canti e cantiche diversi, scelta tanto più significativa, quanto più cuce insieme il tessuto del poema.

de gregori è stato bravo, dico, a scegliere le terzine: a suo modo, ha riletto dante, aprendo la cassaforte con un'altra chiave.


i clandestini hanno mal di mare, ci giurerei:

forse qualcuno pensa con nostalgia a quando credeva che la musica_moderna e la storia_della_letteratura facessero a pugni.


certo, era più comodo, pensarla così,

comodo e falso, come tutte le cose comode.

ho tempo tre anni per fargli passare il mal di mare.


sabato 14 febbraio 2009

il furioso


i clandestini ridono
ma proprio tanto
gli brillano gli occhi

le ragazze giusto quel filo scandalizzate, ma per finta
i ragazzi con il lampo della complicità virile che hanno solo loro

il canto canta
il canto canta di un abbordaggio finito male
di un macho smerdato
di una ragazza sveglia e fintona, ma così bella da imbambolare, ma così bella che si capisce che c'è un trucco sotto

canta di uno che sembra uno e poi è una
che, perlappunto, smerda il macho davanti alla bella fintona

e prima canta del macho che si fa tutta una filosofia sulla rosa da cogliere
e che si deve cogliere prima che la colgano altri
che la ragazza, che non vuole che si colga la sua rosa, in realtà lo vuole eccome
e che quindi lui la coglierà, quella rosa, quella della ragazza bella e fintona, altroché

il canto, con il suo tono svagato e acuto, canta della primavera e delle donne
degli uomini e dell'inutilità delle armi e della forza
e canta dell'intelligenza, che a volte è furbizia, a volte è inganno, a volte tutti e due
ma, soprattutto, canta dell'uomo - e della donna - che, persi in una selva che è tutto tranne che oscura, mica si smarriscono, ma errano, e mica sbagliano, ma vagano. vivono, cioè.

i clandestini ridono e pensano e si immedesimano ora nel macho ora nella bella furbona ora negli altri mille personaggi che il canto canta.

la magia si ripete, infallibile e inesorabile come una trappola. l'intelligenza e la poesia, messe insieme, fanno proprio quell'effetto lì.

giovedì 5 febbraio 2009

paleotv


parlo ai clandestini della tv della mia giovinezza. loro guardano incuriositi. la reminiscenza personale, quella che rifiutano dai genitori, diventa memoria condivisa. e ricordo anche loro.

la tv mamma, il monoscopio, carosello, il quiz del giovedì, il film del lunedì, la prosa in diretta, le gemelle kessler, la pubblicità di tre minuti, la tribuna politica, il maestro manzi, la differita del secondo tempo delle partite.

ho fatto diventare tutto questo argomento di studio. la cuccetta diventa una nave con cui esplorare un passato prossimo per me, remoto per loro, colorato in bianco/nero.

loro navigano nel vuoto, io nei miei ricordi.

mal_fermo5

e ci sono il carlo e l'emilio
uno mai sposato, uno sposato:
la moglie vive qui, ma non si vedono mai.

l'emilio ha sposato il carlo, ormai.

vivono in simbiosi:
l'emilio legge ad alta voce il giornale,
il carlo lo commenta.

il carlo decide cosa cantare,
l'emilio inizia a cantare.

seduti in un divanetto duepposti,
nel salone,
ugole spiegate, come mai nella vita.
dietro al bancone di macellaio,
nella stazione delle nord,
mica si poteva cantare.

il bello è che qui si canta,
ugole spiegate:
firenze sogna
mamma
calabrisella
piemontesina mia
nostalgia de milàn

il giro d'italia nelle canzoni,
sei sette canzoni,
sempre le stesse.

il bello è che sono sempre le stesse,
così le cantano sempre meglio,
ugole spiegate,
sul loro divanetto matrimoniale.

e intanto la vita passa,
sotto il manto della luuuuuuuuuunaaaaaaaaa...

mal_fermo4

e poi c'è il bruno
c'è ancora per poco, mi sa

ex direttore dell'erario
capello bianco ben pettinato sempre
anche adesso
anche durante le lunghe ore di letto

preciso
forse pignolo
di sicuro educato
una volta

ché ora, a letto, urla
sempre
notte
giorno

dice che urlare è uno sfogo
urla quando sta fermo
urla quando si sposta
urla quando lo spostano
urla se è sporco e se è pulito

aaaaaaaaah
aaaaaaaaaaaaaaaaaah
aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaah

tonalità diverse per i suoi aaaaaaaaaaaaaaaaaah
infinite variazioni sul tema
prova, in questi ultimi giorni,
tutte le gradazioni di urlo che non ha vissuto in novantanni

e, se gli si dice 'bruno, non urli, è inutile',
lui tace, guarda, chiede timido 'ah sì?'

silenzio per dieci secondi

poi,
aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaah.

però, pettinato è pettinato.
sempre.

mal_fermo3

e c’era l’egidio
c’era, perché adesso non c’è più

è stato nei sottomarini, in guerra
ha visto e sentito l’onda delle bombe
si è corroso la pelle sotto il sole salmastro
e ha riso e pianto coi suoi compagni

condiviso sogni e disillusioni
mai smesso di credere obbedire combattere

i giorni di sole, li passava sulla panchina del giardino
sempre la stessa, da quattro anni
cappellino, calzoncini corti, libro aperto

leggeva
la sera, spiegava il libro
la vita
il passato
al suo compagno di stanza, il peppino

poi
il sangue ha iniziato a uscirgli dal naso
e poi da tutto il resto
e infine è uscita anche la vita.

il peppino, ora, si aggira per il giardino, con le sue quattro ruote e la sua sola domanda.
’chi mi spiega i libri, la sera, adesso?’

mal_fermo2

e c'è il germano

due ruote, zero gambe
lungo sfregio sulla fronte
automobile ladra

ma lui sì, che conosce la regina taitù
e ha fatto la guerra d'albania
e un dentista una volta gli ha tolto 40 denti

ha una ricetta speciale nella tasca
che serve quando i piedi gli fanno male
la fa vedere a tutti
c'è scritto FISSAN OSSIDO DI ZINCO

gliel'ha data un professorone, 200mila la visita
dice

ma poi,
quando il cipolla non vuole mangiare
gli si avvicina
con le due ruote e la fronte tagliata
allunga la mano
(ché quelle ce le ha)
gli allunga una carezza
gli parla, a lungo
e il cipolla apre la bocca e mangia

germano lo guarda, con gli occhi azzurro liquido
smorfia un sorriso
gli sembra suo fratello.

mal_fermo1

era un orfanotrofio
ora è una erresseà:
residenza
sanitaria
assistita.
l'ipocrisia delle parole non nasconde la realtà,
proprio non ce la fa.
prima ci vivevano bambini orfani dei genitori;
ora vi vivono anziani orfani della vita.
ogni finestra, due vite;
ogni vita, una dignità da difendere.
ogni vita, mille giorni di attesa e di lotta,
accesa o spenta,
cosciente o inconsapevole.

ne parlerò. glielo devo.

martedì 3 febbraio 2009

l'ultimo del paradiso


ogni anno ci ricasco:
torno a commuovermi, e ogni anno mi impiglio nella rete delle sue parole. e ogni anno trovo qualcosa di nuovo, in quelle parole.
ad esempio, stavolta ho trovato l'aggettivo 'nostra':
'mi parve pinta della nostra effigie', racconta, per fare capire che guardando in Dio lui ha visto noi, ma proprio tutti noi, la nostra faccia. senza colori, senza tracce somatiche, senza razze.
e aveva già scritto 'nostra', proprio il primo verso del poema.
'nel mezzo del cammin di nostra vita', aveva scritto.
l'esperienza del mondo sanza gente lo ha spinto lì, ad affondare il suo volto nel volto di Dio, e a trovarci il suo.
nostro.

i clandestini ascoltano. ce ne sono cinque o sei che hanno la luce negli occhi. la loro effigie, la sua, la mia. la nostra.

c'è silenzio nella cuccetta. il mondo_là_fuori sembra lontano, appena increspato dall'eco delle sue parole.
e ogni anno, come ogni anno, ho la sensazione precisa di trasmettere a dei fratelli.

lunedì 2 febbraio 2009

iniziare...


iniziare sotto la neve.
la nave quasi deserta, le cuccette svuotate, aprichiudi di porte, vagabondare di mozzi e clandestini.
la ciurma svuotata della sua funzione.

eccomeffaccio, avevo programmato una verifica (e ti sta bene, a programmare una verifica di lunedì mattina alle nove, e far star male i clandestini tutta domenica...).
adesso dov'è il tecnico, ho prenotato la cassetta, ma tu hai il dvd, che così lo posso fermare?
il commodoro c'è? ma va, quello arriva da fuori...
la vice arriva, anche lei da fuori, col suo plico di giustifiche da siglare. elegante come solo le vice sanno essere, aplomb innato, si muove nella nave come se fosse piena. sempre davanti al pubblico, ricordatelo. sempre davanti al pubblico. classe, stile, allure, cultura, copincolla da vogue. ricordatelo.

iniziare parlando dell'esame con gli sparuti clandestini . loro appollaiati abbarbicati ai caloriferi, e guardano ogni tanto fuori dagli oblò, eccerto che nevica ancora. il mondo, là fuori, immerso nella cocaina, piste ovunque.
io, che sarei poi io_lapprof, spalmata su una sedia che di solito non si usa mai. tanto, quando nel mondo là fuori nevica, nella nave si può tutto.
si può girare per i ponti. si può scambiarsi di cuccette. si può incrociare le classi, la prima con la terza. si può attardarsi nella stiva, leggiucchiare il giornale, non arrivare, non subito, non ancora, ancora un po' nella stiva, massì, tanto i clandestini sono solo contenti...

si può parlare senza spiegare. consigliare senza imporre. la neve scende sui diari e sui libri, sui banchi e sugli zaininvictistpack. sui registri e sui programmi. sui ruoli e sulla stanchezza del lunedì.
domani pioverà, i clandestini arriveranno tutti.
ma è stato bello, iniziare così.